Come Spi della provincia di Napoli continuiamo a misurarci con il volere rappresentare il disagio economico della nostra popolazione di anziani, pesante e diffuso.
Continuiamo a misurarci con il problema della non autosufficienza.
La Sanità e la sicurezza sociale sono temi molto presenti nella nostra popolazione di anziani, pensionati e figure fragili, e richiedono attenzione, interventi sempre più adeguati e attenti al mutare delle situazioni sociali, da parte dello Stato e dalle Istituzioni pubbliche in generale, oltre che dal superamento di ritardi, carenze presenti a Napoli e provincia.
Vale però una considerazione di carattere complessivo, che le prestazioni sanitarie e sociali vengono erogate in relazione alle compatibilità economiche, accompagnate da pigrizie culturali e interessi economici, anziché alla necessità e dai bisogni di chi li chiede ed è portatore.
Si prova a sostituire, (come fa il governo nazionale) la centralità della persona con quella del mercato o della mercificazione dei bisogni, facendo scelte in controtendenza al fatto che ci troviamo in presenza di una transizione da una società “giovane” ad una società sempre più anziana, ciò richiede interventi immediati e di prospettiva modulate alla evoluzione demografica, dove la figura dell’anziano deve essere visto come soggetto che partecipa al cambiamento e ne influenza gli orientamenti.
E’ evidente che la domanda di salute e di benessere di tutti i cittadini è anche collegata alle mutevoli condizioni strutturali, economiche, sociali dei territori di appartenenza in cui conducono la propria vita, va dunque attrezzata qualificata in senso evolutivo, la complessiva risposta della centralità pubblica.
Al gennaio 2008 – In Italia sono 2.615.000 le persone non autosufficienti (ultimi dati Istat): donne e uomini che riferiscono una totale mancanza di autonomia per almeno una delle funzioni che permettono di condurre una vita quotidiana normale.
Ma se si considerano anche le persone che hanno bisogno di aiuto, anche in parte, per svolgere attività essenziali come alzarsi da un letto o da una sedia, lavarsi o vestirsi il numero sale di molto fino a quasi 7 milioni, circa il 13% dell’intera popolazione.
Secondo Istat, inoltre, gli anziani disabili ultra 65enni rappresentano il 19,3%, e sale il numero degli over 80: 47,7%, suddivisi in uomini per il 38,7% e 52% di donne.
• In Campania - Interessanti i risultati di una ricerca promossa nel maggio 2002 a Napoli e in Campania da Profea, in collaborazione con l’Istituto Superiore Sanità, su di un campione di 310 persone:
quasi un terzo degli anziani intervistati non è autosufficiente: gli uomini sono autosufficienti al 76%, le donne al 61%.
La mancanza di autosufficienza cresce con l’età: le donne oltre i 74 anni dipendenti sono più della metà; gli uomini il 31%.
• A Napoli la percentuale di anziani dipendenti è minore: 23%. Anche qui le donne sono più dipendenti (31%) degli uomini (17%). Oltre i 74 anni, le donne dipendenti sono pari al 50%, gli uomini sono dipendenti al 20%.
• La Campania è la regione con la percentuale maggiore di persone dipendenti: gli autosufficienti risultano pari al 67%, contro un valore “nazionale” superiore al 78%.
A Napoli la situazione risulta migliore rispetto alla Campania, ma comunque al di sotto del valore medio.
Per contro, in Campania i servizi offerti alla popolazione non autosufficiente rappresentano 1/3 dei servizi erogati da altre regioni italiane.
Lo Spi di Napoli continua a misurasi con numerose altre questioni: come la sicurezza e la vivibilità dei territori, non solo dal punto di vista del controllo da parte delle Forze dell’ordine, ma nel senso di cura del quartiere, in tutte le sue dimensioni: il verde, la viabilità, l’arredo urbano, la qualità del vivere, la qualità delle strutture sanitarie – pubbliche e private – spesso prive di forme adeguate di accoglienza per le figure anziane e fragili; la presenza di strutture sociali aperte, in grado di rafforzare legami di relazione, e allargare legami affettivi.
Proviamo a misurarci, come Spi della provincia di Napoli, col rappresentare l’anziano come risorsa di una società legata anche all’allungamento della vita.
Nei nostri territori complicati, la vecchiaia rischia di essere una maledizione; nella città e nella provincia di Napoli, le pensionate e i pensionati sono “vittime ed eroi” in questo importante percorso di vita: vittime ed eroi di prepotenze, abusi, comportamenti discriminatori e azioni di lotta ed impegno per una diversa qualità di vivere da anziani.
Sono soprattutto le donne, e le donne anziane, dentro e fuori le mura domestiche le vittime, spesso indifese o addirittura condannate due volte, da una cultura che le rende ancora vittime di antiche discriminazioni di genere.
Istat - marzo 2008: “6milioni e 743mila le donne italiane da 16 a 70 anni (32% delle Italiane) vittime di violenza fisica o sessuale nel corso della vita; 5 milioni le donne che hanno subito violenze sessuali; 3 milioni e 961mila violenze fisiche. Circa 1milione di donne ha subito stupri o tentati stupri”. A questi vanno aggiunti i dati non denunciati. In 3 casi su 4, gli abusi sono commessi da persona conosciuta, magari proprio dal marito o fidanzato.
Il 96% delle violenze subite ad opera di un non partner, e il 93% a causa del partner non sono segnalate alle autorità competenti, e neppure a parenti e/o amici.
Nel 95 % dei casi, sottolinea un documento dell'Associazione Matrimonialisti Italiani, le vittime di violenza in famiglia sono donne e bambini.
Confermato il crescente l’aumento della violenza nei confronti degli anziani, 20 % della popolazione italiana: anche nell'estate 2008, centinaia di anziani sono stati vittime di abbandoni, aggressioni e uccisioni da parte dei familiari.
Ancora poco noto il fenomeno della violenza sulle donne anziane: non solo comportamenti aggressivi, ma vere e proprie violenze psichiche tese a condizionare le scelte degli anziani, a manipolare le informazioni di cui dispongono, ad accelerarne la perdita di autonomia. E questo per scopi delittuosi facilmente immaginabili: violazioni di diritti, furto di denaro e preziosi, estorsione ecc.
I pochi dati di cui si dispone gettano luce su una realtà inquietante: donne anziane, malate, indifese sono spesso oggetto di umiliazioni fisiche e morali. Di frequente poi le violenze avvengono proprio per mano di coloro che più di altri dovrebbero garantire protezione e attenzioni amorevoli: i figli in primo luogo, ma anche i coniugi e altri addetti ai compiti di cura (ad esempio le assistenti familiari).
Così, in uno studio presentato a Roma nel 2007 dagli studiosi Luigi Frey e Renata Livraghi si evidenzia che le anziane italiane hanno una percezione soggettiva delle condizioni fisiche e psichiche piuttosto negativa rispetto ai coetanei maschi, e che un numero sempre maggiore di donne soffre di depressione, malattia che nei prossimi vent’anni passerà dal quarto al secondo posto tra le cause di disabilità.
L’entità del problema aveva indotto l'OMS già nel 2002 (prima conferenza mondiale sulla violenza), a indicare la necessità di misure incentrate su tre punti: consapevolezza, educazione e difesa.
Un ruolo importante nella prevenzione e nella diagnosi di abuso era riservato al medico di famiglia o al geriatra, che più facilmente di altri può individuare forme di abuso, prevenirle attraverso l'analisi di fattori di rischio, e una volta accertato il reato denunciarlo alle Autorità competenti.
La violenza contro le persone anziane è un problema in crescita proporzionale all'incremento della popolazione mondiale di anziani ed in particolare modo del numero di "oldest-old", cioè degli ultraottantenni.
Un sondaggio Eurobarometro Speciale diffuso alla fine del 2007 evidenziava che circa la metà degli Europei ritiene che gli anziani non autosufficienti siano vittime di maltrattamenti e negligenze: certo, sono dati che indicano la percezione del fenomeno e non la sua effettiva realtà, ma quell’indagine comunque riflette la portata del problema.
Violenze private, quindi, violenze ripetute dentro le “sicure” mura domestiche, nei confronti delle quali il nostro Paese non è stato ancora in grado di formulare una legge che direttamente affronti il tema della violenza verso gli anziani e le persone deboli.
Il disegno di legge approvato dal governo Prodi il 22 dicembre 2006 e presentato alle Camere nel gennaio 2007 “Misure di sensibilizzazione e prevenzione, nonché repressione dei delitti contro la persona e nell’ambito della famiglia” non aveva avuto percorso facile, ed è stato azzerato dal governo Berlusconi, interessato a focalizzare l’attenzione sull’odio contro gli immigrati, la necessità di ronde ecc.
Cosa trattava il DDL del governo Prodi?: sensibilizzazione, prevenzione e repressione di violenze, anche in ambito familiare, maturate a causa di genere e forme di discriminazione e di prevaricazione su soggetti deboli, anche anziani, minori e disabili. Un intervento normativo del tutto nuovo in Italia, articolato su più fronti: non più solo su quello repressivo, ma anche su quello della prevenzione e informazione, nella consapevolezza che non si tratta soltanto di un tema di ordine penale bensì della manifestazione di un problema, in primo luogo culturale, fortemente radicato.
Tutto questo ci fa sottolineare stamattina alcune considerazioni, che partono dal non condividere – ma lavorare per bocciare – il cosiddetto “accordo separato”, conseguenza del Libro Verde di Sacconi, che secondo noi in alcun modo risponde al difficile momento che il Paese sta attraversando, specie alcune sue aree regionali dove maggiormente la crisi si esprime, come aree del Mezzogiorno, dove la recessione sta continuando ad aggravare problemi antichi, dove il drastico calo dei consumi accompagnato dai drammi occupazionali rischiano di porre in secondo piano altrettanto drammatiche e crescenti povertà e forme di nuova emarginazione: non solo dunque drammi occupazionali, ma anche drammi legati alla sopravvivenza.
Rispetto a queste realtà, le “miserevoli mezze misure” del governo – come abbiamo volute definirle noi del Sindacato dei Pensionati napoletani – non fronteggiano la crisi, non danno risposte concrete e strutturali né ai salari né alle pensioni.
Una misura del dramma della crisi e delle povertà ci viene dalla stessa “social card”: da una prima ricognizione, infatti, risulta che la stragrande maggioranza delle persone che ne ha fatto richiesta è al sud, e nella nostra regione.
In Italia, al 2007, 12 milioni di ultra 65enni in condizioni reddituali al limite della sopportabilità. Il Rapporto 2008 Caritas- Fondazione Zancan individua due fasce di popolazione maggiormente in difficoltà: le persone non autosufficienti e le famiglie con figli.
Nel nostro Paese risulta povero il 30,2% delle famiglie con 3 o più figli, e il 48,9% di queste famiglie vive nel Mezzogiorno.
Dal 2005 al 2006, relativamente alla povertà degli anziani soli e/o non autosufficienti, l’incidenza di povertà relativa (percentuale di poveri sul totale dei residenti) in persone sole con 65 anni e più è passata da un valore di 5,8 a un valore di 8,2.
Il Rapporto Caritas 2008 ci dice che i poveri non riescono a uscire dalla povertà.
Ciò significa che le risorse sono limitate, e soprattutto male utilizzate, evidenzia il Rapporto. Nell’Europa dei 15 l’Italia, dopo la Grecia, è il Paese in cui i trasferimenti sociali hanno il minor impatto nel ridurre la povertà: abbattono la quantità di popolazione povera solo di 4 punti percentuali. Svezia, Danimarca, Finlandia, Paesi Bassi, Germania e Irlanda riescono a ridurre del 50% il rischio di povertà.
La spesa per il welfare in Europa raggiunge il 27 per cento del Pil in media. In Italia arriva al 26 per cento, quindi non si discosta dalla media europea, tuttavia in Italia questa spesa non riesce a proteggere dal rischio di poverta’.
In Francia, se 26 famiglie su 100 sono a rischio poverta’, dopo i trasferimenti sociali, solo 13 famiglie sono ancora a rischio. Questo significa che il welfare francese riesce a salvare dalla poverta’ il 50 per cento delle famiglie a rischio.
In Germania, se 24 famiglie su cento sono a rischio poverta’, dopo i trasferimenti sociali, solo 17 famiglie sono ancora a rischio. Questo significa che il welfare tedesco riesce a salvare dalla poverta’ il 29 per cento delle famiglie a rischio.
In Italia, se 22 famiglie su cento sono a rischio poverta’, dopo i trasferimenti sociali, 19 famiglie sono ancora a rischio. Questo significa che il nostro welfare riesce a salvare dalla poverta’ solo il 13 per cento delle famiglie a rischio.Ma se spendiamo quanto gli altri nel welfare perche’ non otteniamo gli stessi risultati? Perche’ il nostro welfare non aiuta le famiglie che piu’ ne avrebbero bisogno.
Nei trasferimenti alle famiglie, in Italia, solo l’11,7 per cento va alle famiglie piu’ povere, in Francia il 19,6 per cento e in Germania il 20,2 per cento, la Spagna il 16 per cento e la Grecia il 12,6 per cento. Per non parlare di Svezia (25,8 per cento) e Gran Bretagna (33,7 per cento). Peggio di noi fa solo la Turchia (8,5 per cento).Fatta 100 la spesa per il welfare, l’Italia ne utilizza il 67,4 per cento per le pensioni, contro una media europea del 53,7 per cento. Per le famiglie e i bambini la spesa italiana e’ ferma al 4,4 per cento, la media europea arriva al 7,9 per cento. Per i sussidi ai disoccupati l’Italia spende un misero 2 per cento, la media europea sale al 7,4 per cento. Per la casa la percentuale italiana e’ allo 0,1 per cento contro l’1,2 per cento della media europea. Infine contro l’esclusione sociale, l’Italia spende lo 0,2 per cento, mentre la media europea e’ dell’1,5 per cento.
Bisogna cambiare le scelte del governo, e la manifestazione nazionale indetta dallo Spi per il 5 marzo a Roma, che ha trovato sostegno in tante categorie di lavoratori, in numerose iniziative di lotta promossa dalla Cgil va in questa direzione; così come la straordinaria manifestazione che si realizzerà il 4 aprile a Roma.
Per cambiare le scelte del governo, la manifestazione dei pensionati ripropone i contenuti della piattaforma sindacale condivisi anche da altri sindacati.
Le 10 richieste SPI FNP UILP per aumentare le pensioni e difenderne il potere d'acquisto:
1) incrementare il potere d'acquisto delle pensioni di importo superiore a 644,68 euro mensili, estendendo gradualmente la quattordicesima mensilità;
2) intervenire per superare l'effetto "vicinanza e superamento" delle pensioni previdenziali da parte dei trattamenti assistenziali;
3) rendere più tempestivo e aderente alle dinamiche reali dei prezzi l'adeguamento del meccanismo che regola la perequazione automatica delle pensioni al costo della vita;
4) riconoscere una quota di aumento per le pensioni, con decorrenza ante novembre 1992 che recuperi, anche parzialmente, il valore perso con la sospensione del differimento della perequazione automatica e della non attribuzione dell'ulteriore aumento previsto
5) uniformare la no TAX area per i pensionati a quella dei lavoratori dipendenti
6) introdurre l'imposta negativa in modo strutturale per i redditi che si collocano nella NO TAX area, particolarmente diffusi tra gli anziani, anche con l'utilizzo dell'ISEE, l’indicatore della situazione economica
7) adeguare, in assenza di altri redditi, pensioni indirette, assegni di invalidità o le pensioni di invalidità liquidate con il sistema contributivo, non integrate al minimo, e sulla percentuale di reversibilità
8) riformare i trattamenti assistenziali legati a 29 tipologie di prestazioni con l'obiettivo di istituire il "reddito minimo vitale", evitando l'effetto "annegamento" delle pensioni previdenziali, e valorizzando la quota di pensione acquisita con la contribuzione versata
9) eliminare il drenaggio fiscale che consuma una quota della perequazione automatica
10) superare il limite al cumulo delle pensioni con i redditi di lavoro, attraverso scelte legate al mercato del lavoro degli anziani e all'invecchiamento attivo.
Si tratta di obiettivi di grande rilevanza, per definire un concreto percorso di vitali risposte, che devono essere assunti da subito e con la prossima legge Finanziaria, attraverso un confronto con le parti sociali vero, solare, senza trucchi.
Le azioni del governo stanno nei fatti depotenziando il sistema sociale, con l’obiettivo di renderlo residuale e caritatevole, e non strumento di tutele e affermazione di diritti per una nuova coesione ed emancipazione sociale, per il presente, e che sappia misurarsi con le novità del futuro.
Si vuole dunque demolire un pezzo di civiltà, quella dei diritti sociali e del diritto alla salute, diritti che devono essere garantiti a tutti.
Le destre al governo perseguono invece una visone di società priva di ogni forma di inclusione e integrazione, di affetti, di solidarietà; una società priva di regole per l’affermazione di tutele ed esigibilità dei diritti, per contribuire al superamento della crisi e complessivamente ad una diversa qualità del vivere.
E’ stato il vertice di Lisbona del 2000 a definire la forma competitiva di una nazione basata su tre principi basilari: la buona occupazione, la conoscenza, la protezione sociale, che mettono in contatto virtuoso il cosiddetto stato sociale lavoristico, da innovare con un welfare di cittadinanza territoriale e universalistico: un welfare contro la crisi e, come nello slogan di questo convegno, un welfare che provi ad andare oltre.
Andare oltre può significare uno sguardo non solo nazionale, ma europeo, dentro lo sregolato mondo globale, carico di violazioni dei diritti umani, sul lavoro, contro gli anziani.
L’allungamento della vita, inoltre, l’invecchiamento della popolazione pone nuove domande, così come il tema dell’immigrazione.
La destra in Italia ha deciso di affrontare questi temi con azioni di restringimento di diritti e tutele, dal mondo del lavoro alla società.
“… la paura è merce politica… più si alimenta e più cresce il bisogno di autorità…” ha scritto una brava giornalista italiana (Concita De Gregorio)
Secondo Eurostat, la quota dei nostri over 65 è destinata a passare dal 20% del 2008 al 32% nel 2060, contro una media europea del 29,9%.
Il nord e il centro del nostro Paese sono le aree in cui il fenomeno dell’allungamento della vita è più forte, con l’indice di vecchiaia che sfiora il 160% al nord, e arriva al 162% al centro.
L’indice di vecchiaia nel Mezzogiorno, Campania compresa si attesta al 110%, e in Campania in particolare scende all’87,8%; addirittura a Napoli precipita al 73,9 per cento.
In Campania dunque si vive meno: cioè la vita è più breve che in altre realtà.
Forse perché le condizioni di vita di ampi strati della popolazione sono difficili?
Forse perché l’insicurezza territoriale incide sulla qualità della vita, in particolare delle persone anziane?
Forse il sistema socio-sanitario non è all’altezza delle domande che salgono dai territori?
Forse perché gli Enti locali non assolvono ai propri compiti, non quanto la situazione richiede nelle politiche sociali?
Forse perché la nostra risorsa ambientale ha perso l’antica, molto antica salubrità?
Sono tanti i perché, e forse le soluzioni sono legate proprio alle domande che abbiamo appena avanzato.
La spesa sociale in Campania risulta inferiore del 30,5 per cento alla media nazionale; ma la situazione potrebbe diventare ancora più sofferta in regime di federalismo fiscale: il 72 per cento dei Comuni con bassa capacità fiscale andrà certamente in difficoltà.
Noi pensiamo che la qualità complessiva di un territorio, la sua vita la sua crescita e il suo sviluppo non possono essere legati solo a una lettura economicistica dei problemi: come ci indicano i tre principi della Dichiarazione di Lisbona del 2000, occorre misurarsi con la domanda di benessere che i cittadini pongono.
Tutto questo richiede politiche di inclusione, politiche per l’invecchiamento attivo, per la cittadinanza partecipata, per luoghi di vita sociale, percorsi di educazione permanente: insomma, politiche capaci di misurarsi con le nuove problematiche demografiche, sociali, urbane, alimentari, con quel dramma che viene chiamato la “migrazione sanitaria”, per cui chi se lo può permettere va a curarsi fuori.
E numerosi anziani non possono permetterselo.
Forse è anche per questo se qui da noi si vive circa 2 anni e mezzo in meno.
Se si considerano gli anziani una risorsa e non più un peso da emarginare o come cittadini di seconda categoria bisogna pensarci, quando si costruiscono gli Enti locali, quando si stabiliscono le politiche sociali, quando si crea un sistema di sanità che non riesce compiutamente a farsi carico dei complessi bisogni di una persona anziana.
Su questi temi riteniamo che le politiche condotte dalle nostre istituzioni siano ancora in ritardo.
Ad esempio, poco praticata è la cultura, la logica dell’integrazione tra i vari livelli istituzionali, la sola che può superare disfunzioni, frammentazione di interventi, inefficacia degli interventi stessi, fughe di responsabilità.
Poco praticato è l’uso virtuoso delle risorse disponibili, che proprio perché scarse andrebbero utilizzate con la massima attenzione, per rispondere ai bisogni reali delle persone, non a quelli dell’Amministrazione stessa: siamo ancora molto lontani da questa pratica virtuosa, riteniamo altresì che l’impegno nei confronti della evasione ed elusione dei tributi in ogni Ente Locale debba trovare una nuova determinata, attrezzata e continuativa azione.
Nella bozza del Piano Sociale Regionale 2009-2011, nella sua lunga premessa vi è un elenco di obbiettivi, molti ancora da realizzare, tutti tendenti a voler progettare “welfare” che parta dalle specificità territoriali” per fondersi in una rinnovata visione programmatica regionale.
Apprezziamo questo impianto; tuttavia non partiamo da zero, nell’auspicio che il periodo di sperimentazione di sperimentazione della legge 328 abbiano fatto compiere alcuni passi significativi.
Quello che rileviamo è che qualsiasi programmazione deve giovarsi di una cultura della valutazione, il che vuol dire riuscire a verificare come e se una politica abbia inciso sulla realtà.
Nel Piano Sociale Regionale sono elencati numerosi punti di crisi, questioni ancora irrisolte.
Rispetto a questi punti critici, noi pensiamo che le azioni del movimento sindacale vadano ulteriormente sviluppate, e lungo due direzioni: azioni nei confronti del governo nazionale, azioni nei confronti degli enti locali, senza dimenticare i naturali intrecci tra questi due livelli, schematicamente richiamati.
Alla base della nostra mobilitazione e del nostro impegno
dare certezza di universalità e adeguatezza al sistema sanitario, che deve rimanere pubblico;
dare corso al Fondo nazionale per la non autosufficienza;
investire per l’innovazione;
rifinanziare il Fondo nazionale per le Politiche Sociali, e far sì che il Bilancio della Regione Campania finanzi davvero la Legge sulla Dignità sociale
A livello territoriale occorre proseguire nell’azione sindacale per diffondere compiutamente la rete di Assistenza Domiciliare Integrata.
Risorse adeguate e interventi di riconversione della rete ospedaliera.
La Casa della Salute è per noi Spi il luogo di presa in carico della persona.
Occorre continuare a sostenere e rilanciare la piattaforma unitaria provinciale di Napoli sulla negoziazione sociale territoriale, che contiene numerosi obiettivi che riguardano
l’insieme degli Enti locali (di nostra competenza) dai Bilanci Comunali e tariffe, alla richiesta di Osservatori sui Servizi pubblici, alle politiche abitative, ai Centri Sociali, alla diversabilità, la domiciliarità e altre rilevanti questioni.
Come Spi pensiamo di riprendere assemblee nelle Leghe per riportare i contenuti complessivi della piattaforma, che sono validi vanno arricchiti con ulteriori specificità.
Nei confronti di Fnp e Uilp, provinciali abbiamo consumato numerosi tentativi di ripresa di lavoro comune, fino ad ora abbiamo raccolto “ disponibilità riflessive” che però non hanno ancora prodotto niente.
Pensiamo ad azioni di mobilitazione in sostegno della Piattaforma unitaria nei confronti dell’insieme degli Enti Locali, scegliendo realtà a campione, in sinergia con la Camera del Lavoro e con il lavoro avviato dal Dipartimento Welfare.
Pensiamo ad un percorso di qualificazione nelle Leghe sulla contrattazione sociale, come al ricambio generazionale, favorendo la priorità al femminile.
Pensiamo di adeguare la nostra presenza nei territori in sinergia con la Cgil per rispondere meglio sia alle difficoltà e potenzialità nostre e promuovere il nuovo, le delibere della Conferenza di Organizzazione danno risposte in tal senso.
E’ auspicabile che non rimanga solo il livello confederale Cgil e la categoria dello Spi, nella complicata fase di azione sindacale: è auspicabile una rinnovata sensibilità di Cisl e Uil territoriali, ma una ripresa di attenzione di altre categorie Cgil.
E’ necessario, dunque proseguire e farlo in maniera partecipata.
Lo Spi è per proseguire in questa direzione, con tutti gli aggiornamenti necessari per migliorare l’azione rivendicativa del sindacato, e ritiene di esplorare in sintonia con la Cgil l’opportunità di azioni di sostegno ampio e visibile nei confronti degli Enti locali.
Noi come Spi, sapendo il momento particolarmente difficile e complicato per le nostre realtà territoriali e istituzionali, intendiamo investire la nostra azione sulle numerose problematiche che investono la vita dei cittadini anziani e pensionati, per consolidare quanto ottenuto e provare di andare …oltre.
Le pensionate e i pensionati auspicano di vivere più a lungo e meglio un’importante fetta di vita, e farlo come sempre da protagonisti consapevoli.
SPI-CGIL NAPOLI
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